Emilio e Ugo Betti

Emilio e Ugo Betti

Emilio ed Ugo Betti, giurista l’uno e drammaturgo l’altro, diedero grande lustro alla città di Camerino ed alla sua Università. 

“Quando finalmente mi iscrissi all’Università nel 1983 i dubbi su Emilio svanirono: alcuni miei amici avevano scelto Giurisprudenza e spesso nostro luogo preferito di incontro era Palazzo Ducale: lì Emilio era di casa, un’aula dedicata a lui, l’istituto di Teoria dell’Interpretazione, le tante branche del diritto da lui percorse, la vasta cultura umanistica mostrarono quanto fosse uno dei più eminenti studiosi che questa terra abbia avuto. 

Compresi che non era un fratello minore, era il fratello maggiore. Non era sicuramente inferiore per capacità, era stato un grandissimo giurista, un teorico dell’ermeneutica contemporanea, un uomo severissimo e rigorosissimo. Era stato maestro di Giorgio La Pira e Tullio Segrè, e poi anche di Stefano Rodotà, addirittura socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei, punto di arrivo di ogni scienziato. 

Eppure era stato dimenticato dai suoi concittadini, dalla città che lui tanto amava. 

 

C’è l’erba folta, per le viuzze scoscese di quel vecchio paese. 

Si sente il coro dei bambini compitare nella scuola 

Quale difficile parola…. 

 

E’ una grande occasione ed una grande emozione sentirlo raccontato dai giuristi della nostra Università, vederlo sedere lì a fianco del fratello, durante il premio Betti, quel premio che ha scandito tante stagioni della nostra città e della mia vita. E’ bello poter vedere come i due fratelli si siano vicendevolmente influenzati, come l’uno abbia determinato i successi e le idee dell’altro, come la coppia sia in realtà un tutt’uno. La nostra Università deve continuare a tener viva la memoria di coloro che, come Emilio, ad essa hanno dato lustro: con loro possiamo “tuffarci” nel futuro con occhi pieni di speranza, consci di saper “nuotare” e non solo tenerci a galla. 

La si vede quasi con meraviglia, uscendo dai monti, sul cucuzzolo d’un colle eminente, isolato. Dove l’occhio s’aspetterebbe di trovare un gruppo di pecore o un ciuffo d’alberi, si vede sorgere, solitario, una specie di castello con mura molto alte e irregolari…Terminano i campi arati, s’alzano quelle mura silenziose…Un forestiero che salisse tra la nebbia se la troverebbe davanti come un’apparizione. La città non dà confidenze alla campagna, anche il suo profilo lontano esprime un destino di signoria […] Tutta la città, sulla sera, chi la guardi da ponente alta e illuminata al di sopra di tutti gli altri colli già bui, sembra d’oro e somiglia a quella Camerino d’oro che il Patrono della città porta sul palmo in un’antica statua”. 

 

Testo tratto dall’introduzione del prof. Claudio Pettinari al volume  "Emilio e Ugo Betti: Giustizia e Teatro", Editoriale Scientifica - collana Scuola di Giurisprudenza Unicam